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Mauro Magatti: “Cambiare modello per generare valore”

1 Agosto 2018 Stampa

Mauro Magatti insegna Sociologia all'Università Cattolica di Milano e da anni si occupa dei rapporti tra economia e società. Editorialista per il Corriere della Sera e Avvenire, è un attento osservatore delle dinamiche sociali e politiche del nostro Paese. Lo abbiamo raggiunto per un'intervista sul particolare momento storico che stiamo vivendo, tra fughe in avanti e nostalgie per il passato. 

Professore, lei parla molto di generatività nei suoi interventi e nei suoi libri. Come si coniuga questo concetto con l’economia e l’impresa?
"L’idea di generatività ha a che fare originariamente con un movimento di tipo imprenditivo. Generare significa creare, far esistere, far crescere e l’imprenditore moderno esprime questa radice che poi è assai più ampia della sola attività economica. La prima idea da esprimere è che ciascuno di noi ha un potenziale imprenditoriale che si può esprimere in tanti modi differenti. La generatività ha a che fare con questa capacità di iniziativa delle persone".

Lei parla di generare, di creare, di intraprendere. Eppure ci troviamo a vivere un momento complesso, un vero cambiamento d’epoca. Al di là di una ripresa, più o meno contingente, come può essere affrontato questo nuovo paradigma economico e sociale? L’economia circolare, la sostenibilità, possono rappresentare una risposta efficace?
"Il vero problema è capire quali sono le ragioni profonde che hanno originato la crisi del 2008 e che è proseguita fino a portarci a quello che sta succedendo ora. Non si tratta di fare un discorso contrario ai consumi, che sono una componente fondamentale dell’economia e del nostro modo di essere e di vivere. Il problema è chiedersi, considerando il modello di sviluppo e il cambiamento dei profili demografici in atto, se sia realistico pensare che la crescita si crei ancora a partire dai consumi privati: questo è oggettivamente un elemento problematico oggi. Dalla sostenibilità non si può più prescindere: parlo di sostenibilità a livello economico, sociale, ambientale… E poi c’è anche un problema profondo che riguarda i beni, a cosa sono i beni che si producono. E’ un tema legato alla tecnologia e alla questione dell’avanzamento culturale che, come direbbe Max Weber, esprime l’avanzamento spirituale di una comunità. O siamo capaci di giocare in positivo questa crisi, andando oltre l’idea di consumi e finanza e rimettendo al centro l’elemento imprenditivo attraverso un modello di impresa che produca valore economico, ma anche culturale, ambientale, sociale (il chè significa riformare buona parte della nostra cultura) oppure la stagnazione attuale è destinata a continuare".

Si parla molto di disintermediazione, ne ha scritto anche recentemente sul Corriere della Sera. Una disintermediazione tra leader e popolo che taglia fuori i cosiddetti corpi intermedi (in politica, in economia, nella società in genere). Quale deve e può essere, a suo avviso, il ruolo di questi corpi intermedi? C’è ancora spazio per un livello che lavori per costruire una rete?
"Ci sono tanti aspetti contraddittori che convivono insieme in questo momento storico. Da una parte, come diceva, una spinta molto forte alla disintermediazione (soprattutto tramite la rete, con l’idea che questa possa sostituire tutto quello che c’era prima), dall’altra parte è evidentissimo che ci sono spinte molto forti a tornare a chiedere una intermediazione politica, una protezione che passi attraverso una politica che crei scansioni nei processi economici, finanziari, umani. I corpi intermedi sono dentro questo processo e, a mio avviso, hanno bisogno urgentemente di rinnovare il loro modo di stare nei processi sociali contemporanei, altrimenti saranno espulsi come accade ai corpi che non si trasformano). È necessaria una intermediazione che non distrugga valore e che non estragga risorse e valore per sostenere burocrazie o entità che erano pensate rispetto a un modello di organizzazione del secolo scorso. Sono, al contrario, molto importanti corpi intermedi che nel tessere le fila a livello territoriale (a partire da quello provinciale, venendo poi al nazionale e fino al continentale) siano in grado di fare quel lavoro di mediazione che consenta di raggiungere capacità di produrre valore e benessere, cosa che senza questa mediazione sarebbe impossibile. Per chiarire ulteriormente occorrono soggetti consapevoli che stanno in mezzo per migliorare la capacità di produzione di valore e che rendano quindi possibile accedere a livelli di benessere superiori. Questi devono diventare corpi intermedi plurali, che non alimentino sterili burocrazie: questo è un processo che ha le sue complessità".

Il processo di digitalizzazione rappresenta un fenomeno inevitabile e che contribuisce a cambiare paradigma. A suo modo di vedere come va governato? Recentemente, incontrando l’assessore regionale Bianchi e Marco Bentivolgi della Fim Cisl, abbiamo parlato anche di un nuovo modello di formazione legato a questi cambiamenti. Come affrontare il futuro che avanza senza farsi travolgere?
"La cosa importante da cogliere è che la digitalizzazione avanzerà inesorabilmente e sarà pervasiva, questo fenomeno è destinato a cambiare radicalmente le cose. Avrà un impatto realmente paragonabile a quello della rivoluzione industriale. Fondamentale, allora, è non guardare a questo fenomeno in maniera superficiale, la digitalizzazione cambierà davvero in profondità l’organizzazione del lavoro, il rapporto tra l’uomo e la macchina, tra il lavoro e la vita, la forma stessa delle nostre città. É un fenomeno che va preso sul serio e accompagnato, che produrrà effetti positivi e anche negativi: non si tratta di essere solo entusiasti o solo disfattisti. La digitalizzazione richiede uno sforzo intelligente di comprendere questa trasformazione e accompagnarla, anche introducendo forme regolative e modificando le forme della formazione che, ad esempio, non può che essere continua. Inoltre occorre introdurre nuove forme contrattuali e, anche, nuove forme societarie. La risposta a quanto accadrà non ce l’ha nessuno, l’importante è comprendere bene che in una società a forte base tecnologica e conoscitiva chi non si prepara e non capisce, chi non fa circolare idee, chi non studia, è destinato a diventare marginale".

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