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Ambiente e Sicurezza news #7 – Luglio 2015

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21 Luglio 2015 Stampa

INTERPELLI:

Interpello n. 5/2015 – Interpretazione dell’art. 65 del D.Lgs. n. 81/08, locali interrati e seminterrati.

L’art. 65 del TU 81/08 prevede che possono essere destinati al lavoro, locali chiusi sotterranei o semi-sotterranei: quando ricorrano particolari esigenze tecniche (comma 2) e comunque, anche per altre lavorazioni per le quali non ricorrono le esigenze tecniche (comma 3).Questo, in condizioni di assenza di emissioni di agenti nocivi, e con la garanzia che vengono assicurate, sempre, idonee condizioni di aerazione meccanica e/o naturale, di illuminazione artificiale e di microclima (bar, ristoranti, attività commerciali, ecc.).

Nell’interpello (serie del 24 giugno 2015 Ndr) posto dal Consiglio nazionale degli ingegneri si chiede se è corretta l’interpretazione secondo la quale in presenza delle condizioni (sopra esposte, Ndr) vi può essere “permanenza di lavoratori in detti locali per l’ intera giornata lavorativa contrattuale”.

La Commissione a proposito delle modalità di utilizzo dei locali oggetto dell’interpello, ricorda che il potere dell’organo di vigilanza di consentire l’uso dei locali, anche per altre lavorazioni per le quali non ricorrono le esigenze tecniche: “si concretizza in uno specifico potere autorizzativo atto a rimuovere, con un determinato provvedimento, i limiti posti dall’ordinamento all’utilizzazione dei locali, previa verifica della compatibilità di tale esercizio con il bene tutelato e costituito” (nel caso, la salute e sicurezza dei lavoratori, Ndr).

E conclude: “il provvedimento di autorizzazione:

– deve essere congruamente motivato in ordine a quanto previsto al c. 3 dell’art. 65, il quale impone che le predette lavorazioni “non diano luogo ad emissione di agenti nocivi”;
– ​presuppone il rispetto del TU 81/08 e, in particolare, richiede la verifica che si sia provveduto ad assicurare idonee condizioni di aerazione, di illuminazione e di microclima (c. 2, del citato art. 65)”.

Sulla specifica domanda per la “permanenza di lavoratori in detti locali per l’intera giornata lavorativa contrattuale”, la Commissione conclude che “nell’ambito dell’atto autorizzativo anche eventuali limitazioni sull’orario di lavoro devono trovare una concreta e determinata motivazione strettamente correlata alle esigenze imposte e specificate dalla norma medesima”.

 

Interpello n. 4/2015 – formazione e valutazione dei rischi per singole mansioni ricomprese tra le attività di una medesima figura professionale.

Con l'Interpello n.4/2015, la Commissione Interpelli presso il Ministero del Lavoro risponde ad un quesito relativo alla "formazione e alla valutazione dei rischi per singole mansioni ricomprese tra le attività di una medesima figura professionale".

L'ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) ha chiesto chiarimenti al Ministero del Lavoro, in merito alla formazione del lavoratore prevista dall'art. 37 del Testo Unico di Sicurezza, e alla valutazione dei rischi specifici delle mansioni, nel caso in cui un lavoratore formato per svolgere una determinata attività, venga adibito allo svolgimento di particolari mansioni, che costituiscono compiti o attività specifiche ricompresi nell'attività principale per la quale è stato formato anche in base alla classificazione Istat-IsfoL e che costituiscono compiti o attività specifiche ricompresi nell'attività principale per la quale è stata erogata la formazione stessa. È il caso del lavoratore stradale formato come asfaltista, che venga adibito alla rifinitura del manto stradale.

Secondo la Commissione Interpelli per quanto riguarda il quesito sulla valutazione dei rischi, secondo la Commissione, l'articolo 28 del d.lgs. n. 81/2008 prevede che la valutazione del datore di lavoro deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ed il relativo documento deve essere ispirato a criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l'idoneità, proprio perché è considerato lo strumento per pianificare gli interventi aziendali e di prevenzione.

La Commissione sottolinea che nel documento devono essere individuate le mansioni che espongano i lavoratori a rischi specifici che richiedano "una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento".

Per quanto riguarda il quesito sulla formazione, invece, la Commissione ha affermato che la formazione non può sostituirsi all'addestramento e che:

– quella prevista dall'art. 37, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008, così come definita dall'Accordo Stato-Regioni n, 221 del 21 dicembre 2011, è diversa da quella prevista dai titoli successivi al primo dello stesso decreto o da altre norme sulle mansioni o le attrezzature particolari;
– ​per l'Accordo Stato Regioni n. 153/2012, si tratta di un percorso minimo e sufficiente, salvo che dalla valutazione dei rischi non emerga che debba essere integrato (ad es. per l'introduzione di nuove procedure di lavoro o nuove attrezzature).

La Commissione ricorda che il documento di valutazione dei rischi redatto dal datore di lavoro deve contenere la puntuale individuazione di tutti i rischi concretamente connessi al lavoro da svolgere. Non va quindi fatto riferimento alla mansione, ma la formazione specifica del lavoratore va collegata alla valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro e va ripetuta in base all'evoluzione o all'insorgenza di nuovi rischi o per il sopraggiungere di normative nuove.

La frequenza a corsi specifici e aggiuntivi, rimane obbligatoria per i casi in cui la formazione sia prevista da norme specifiche, come quella del DI del 4 marzo 2013 sulla segnaletica stradale che prevede, nel caso in cui un lavoratore sia adibito a svolgere particolari mansioni ricomprese nell'attività principale, che la stessa sia valida se ricondotta nel percorso formativo sui rischi specifici e se adeguatamente trattata.

Se invece il lavoratore viene esposto a rischi diversi rispetto a quelli presenti nella valutazione, durante la formazione occorrerà effettuare una nuova valutazione dei rischi e una formazione integrativa del lavoratore.

 

Interpello n. 3/2015 – applicazione dell’art. 96 del d.lgs. n. 81/2008 alle imprese familiari.

L'Interpello n.3/2015 riguarda le imprese familiari che operino in un cantiere temporaneo e mobile: quali sono i loro obblighi documentali?

La Federazione Nazionale UGL Sanità ha chiesto indicazioni al ministero del Lavoro circa l'interpretazione dell'art. 96 del Testo unico di Sicurezza nel caso in cui si trovino ad operare in un cantiere temporaneo e mobile un'impresa familiare: tale impresa deve redigere o meno il piano operativo di sicurezza riportando tutti i contenuti minimi previsti dall'allegato XV del d.lgs. n. 81/2008?

La Commissione Interpelli ricorda che alle imprese familiari (di cui all'art. 230 bis del Codice Civile) si applica l'art. 21 del D.Lgs. n. 81/2008. Se le attività familiari operano all'interno di un cantiere temporaneo e mobile(art. 89. comma 1. lett. a), del d.lgs. 81/2008) esse devono redigere il Piano Operativo di Sicurezza, come previsto dall'art. 96 del TUS (Obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti).

Ma la Commissione precisa: Il Piano deve riportare lutti i punti dell'allegato XV ad eccezione dei punti i cui obblighi non trovano applicazione nel caso delle imprese familiari, e "A titolo meramente esemplificativo e non esaustivo" la Commissione afferma che " nei POS delle imprese familiari non potrà essere indicata la figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, i nominativi degli addetti al primo soccorso, ecc."

Riferimenti normativi:

Art. 12, d.lgs. n. 81/2008 e smi – risposta al quesito relativo all'art. 96 del d.lgs. n. 81/20008

 

Interpello n. 2/2015 – criteri di qualificazione del docente formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Con l'Interpello n.2/2015 la Commissione Interpelli risponde ad un quesito sull'integrazione della formazione per un ingegnere che voglia svolgere il ruolo di docente formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri chiede in particolare al Ministero del lavoro se "l'Ingegnere che si occupa professionalmente dei temi della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro" può "svolgere, in base al proprio titolo di studio e professionale, il ruolo di formatore in tutte le aree tematiche previste, eventualmente integrando, nei casi in cui non risultino altrimenti verificati i prerequisiti in tal senso, la propria preparazione in termini di competenze sulla didattica con un corso formativo della durata minima di 24 ore e sviluppato secondo le modalità di cui all'allegato". L'Ingegnere che svolga professionalmente la propria attività in materia di salute e sicurezza sul lavoro potrà assumere l'incarico di docente nei corsi dì formazione per datore di lavoro che svolga i compiti dì Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, lavoratori, dirigenti e preposti, a condizione che documenti – in qualunque modo idoneo allo scopo – il possesso dei criteri di cui al Decreto 6 Marzo 2013, per ciascuna delle citate "aree tematiche" per la quale voglia svolgere le attività di docenza. Il decreto 6 Marzo 2013, ricorda la Commissione Interpelli impone a ciascun docente dei corsi di formazione in materia di salute e sicurezza, per datore di lavoro che intenda svolgere il ruolo di Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, per lavoratori, dirigenti e preposti, di essere in grado di documentare – in relazione a ciascuna delle aree tematiche identificate dal decreto (area normativa/giuridica/organizzativa; area rischi tecnici/igienico-sanitari e area relazioni/comunicazioni) – il possesso di uno dei sei criteri di cui al decreto 6 Marzo 2013. Pertanto, chi intende svolgere corsi di formazione in tutte le aree del decreto 6/3/2013, dovrà documentare il possesso di almeno uno dei criteri in relazione a ognuna delle tre aree.

Riferimenti normativi:

Art. 12, d.lgs. n. 81/2008 e smi – risposta al quesito relativo ai criteri di qualificazione del docente formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

 

Interpello n. 1/2015 – criteri generali di sicurezza relativi alle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare.

Con l'Interpello n.1/2015 la Commissione Interpelli presso il Ministero del Lavoro risponde ad un quesito "inerente i criteri generali di sicurezza relativi alle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare".

La Federcoordinatori ha chiesto un chiarimento sull'art. 2 del decreto interministeriale del 04/03/2013 (criteri generali di sicurezza relativi alle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare).

L'articolo prevede che l'adozione e l'applicazione dei criteri minimi di sicurezza descritti nell'allegato I, siano in capo ai gestori delle infrastrutture, alle imprese appaltatrici, esecutrici e affidatarie che devono darne evidenza nei documenti di sicurezza di cui agli art. 17, 26, 96 e 100 del Testo unico di Sicurezza.

Osserva Federcoordinatori che gli articoli 17, 26 e 96 sono riferiti ad obblighi riconducibili al Committente ovvero al Datore di lavoro per la redazione di documenti di sicurezza […], mentre l'art. 100 del Testo Unico fa riferimento al Piano dì Sicurezza e Coordinamento, redatto dal Coordinatore per la Sicurezza. In nessuna parte del decreto si fa riferimento alla figura del Coordinatore per la Sicurezza se non nell'art. 100.

"Come dunque può rientrare la figura del Coordinatore in questo decreto? Quali i suoi compiti previsti?" chiede l'Associazione, che avanza un'ipotesi: "è possibile che invece che all'art. 100 si volesse far riferimento all'art. 90 relativo agli obblighi in capo al Committente o Responsabile dei lavori, tra cui vi è quello relativo la nomina del Coordinatore che redige il PSC?"

Secondo la Commissione, con il decreto interministeriale del 04/03/2013 viene "ampliato" il raggio di azione dei regolamenti previ genti, definendo i criteri minimi per la posa, il mantenimento e la rimozione della segnaletica di delimitazione e di segnalazione delle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare.

L'allegato XV, punto 2.2.1. lett. b), del d.lgs. n. 81/2008 stabilisce che il Piano di Sicurezza e Coordinamento, di competenza del Coordinatore per la Sicurezza, deve contenere "l'analisi degli elementi essenziali di cui all'allegato XV.2, in relazione: […] all'eventuale presenza di fattori esterni che comportano rischi per il cantiere, con particolare attenzione ai lavori stradali ed autostradali al fine di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori impiegati nei confronti dei rischi derivanti dal traffico circostante".

Pertanto, secondo la Direzione Generale "il riferimento all'art. 100 del d.lgs. n. 81/2008 non appare inappropriato con le finalità del decreto in oggetto, anche se tra le figure elencate per l'applicazione dei criteri minimi non è espressamente menzionato il Coordinatore per la sicurezza".

Riferimenti normativi:

art. 12, d.lgs. n. 81/2008 e smi – risposta al quesito inerente i criteri generali di sicurezza relativi alle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare.


APPROVATA LA LEGGE IN MATERIA DEI DELITTI CONTRO L'AMBIENTE

Nella seduta del 19 maggio 2015 il Senato della Repubblica ha approvato definitivamente il Disegno di Legge numero 1345-B, recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” con 170 voti a favore, 20 contrari e 21 astenuti.

Finora la tutela dell’ambiente è stata garantita solo attraverso la previsione di alcuni reati, di natura prevalentemente contravvenzionale, contenuti nel Decreto Legislativo numero 152 del 2006 (“Codice dell’Ambiente”), oltre che dall’applicazione di alcune norme incriminatrici contenute nel Codice Penale (si pensi ai reati contro l’incolumità pubblica o alla fattispecie di cui all’articolo 674), con le note problematiche relative alla possibile violazione di alcuni princìpi costituzionali (come quelli di precisione, tassatività e offensività) e ad un trattamento sanzionatorio non sempre correttamente parametrato alla gravità dei fatti.

Il Disegno di Legge numero 1345-B introduce nel Codice Penale, immediatamente dopo il Titolo VI del Libro Secondo dedicato ai “Delitti contro l’incolumità pubblica”, un nuovo TitoloVI-bis intitolato “Dei delitti contro l’ambiente”.

Con la sua approvazione alcuni crimini contro l’ambiente non saranno più considerati semplici contravvenzioni ma reati inseriti nel codice penale italiano, i tempi di prescrizione sono raddoppiati e le pene possono arrivare fino a 20 anni di carcere.

Cinque nuovi reati

In base al nuovo provvedimento diventano reati l’inquinamento ambientale, il disastro ambientale, l’impedimento dei controlli, l’omessa bonifica e il traffico di materiale radioattivo.

Inquinamento ambientale

Il nuovo articolo del codice penale punisce l’inquinamento ambientale con la reclusione da 2 a 6 anni e con una multa che può andare da 10 mila a 100 mila euro. L’inquinamento ambientale punisce chi provoca «una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna».

Sono previste anche delle aggravanti con un aumento delle pene nel caso il reato di inquinamento abbia provocato delle lesioni o la morte di una o più persone. Le pene vengono aumentate in modo progressivo a seconda che ci sia stata lesione semplice, lesione grave, gravissima o morte. Se gli eventi lesivi derivati dal reato sono plurimi e a carico di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave aumentata fino al triplo: il limite massimo per la detenzione è 20 anni.

Omessa bonifica

il reato di omessa bonifica punisce chiunque, essendovi obbligato, non provvede alla bonifica, al ripristino e al recupero dello stato dei luoghi. Le pene si muovono tra un minimo edittale di 1 anno ed un massimo di 4, con una multa prevista che ondeggia tra i 20mila e gli 80mila euro.

Disastro ambientale

Vengono considerati disastri ambientali: «l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema, l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali, l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo». In questi casi le pene vanno da 5 a 15 anni ed è prevista un’aggravante: quando il disastro ambientale viene commesso in un’area protetta o sottoposta a vincolo o causa danno a specie animali o vegetali protette.

Delitti colposi

Nel caso in cui i reati di inquinamento e di disastro ambientale vengano commessi per colpa e non per dolo, cioè non intenzionalmente, le pene saranno ridotte fino ad un massimo di due terzi.

Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività

Commette questo reato «chiunque, abusivamente, cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di materiale ad alta radioattività ovvero, detenendo tale materiale, lo abbandona o se ne disfa illegittimamente». La legge, in questi casi, prevede pene da 2 a 6 anni di carcere e una multa da 10 mila a 50 mila euro.

Impedimento del controllo

«Chiunque, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti» sarà punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni.

Associazioni contro l’ambiente

La legge prevede specifiche aggravanti nel caso i reati vengano commessi in forma associativa.

Confisca

In caso di condanna o patteggiamento per i reati di inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento del controllo nonché per i reati associativi il giudice deve sempre ordinare la confisca delle cose che sono il prodotto o il profitto del reato o che sono servite a commetterlo. Niente confisca quando i beni appartengano a terzi estranei al reato. Se la confisca dei beni non è possibile, il giudice ordina la confisca per equivalente. I beni e i proventi confiscati sono messi nella disponibilità della pubblica amministrazione competente e vincolati all’uso per la bonifica dei luoghi. Niente confisca quando l’imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza dei luoghi e, se necessario, alla loro bonifica e ripristino».

AUA: IN VIGORE IL MODELLO UNICO NAZIONALE

Dal 30 giugno 2015 è in vigore il modello unificato dell’istanza per la richiesta dell’AUA.
D.P.C.M. 8 maggio 2015 pubblicato sulla G.U. del 30.6.2015 è stata approvata la modulistica unificata che costituisce la traccia valida a livello nazionale per la richiesta dell’Autorizzazione Unica Ambientale.
Autorizzazione Unica Ambientale si intende il provvedimento rilasciato dallo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP) che sostituisce gli atti di comunicazione, notifica ed autorizzazione in materia ambientale
imprese interessate presentano domanda di AUA nel caso in cui siano assoggettate, ai sensi della vigente normativa, al rilascio, alla formazione, al rinnovo o all’aggiornamento di almeno uno dei seguenti titoli abilitativi:

– autorizzazione agli scarichi di acque reflue;
– comunicazione preventiva per l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari e delle acque reflue provenienti dalle aziende dedite alla coltivazione del terreno ed all’allevamento del bestiame e da piccole aziende agroalimentari;
– autorizzazione alle emissione in atmosfera;
– autorizzazione generale in deroga per gli impianti a emissioni scarsamente rilevanti;
– nulla-osta per le emissioni sonore relativamente alle attività produttive o edilizie;
– autorizzazione all’utilizzo dei fanghi derivanti dal processo di depurazione in agricoltura;
​- comunicazioni in materia di autosmaltimento e recupero di rifiuti

 

Nello specifico l'Autorizzazione unica ambientale è il provvedimento istituito dal Dpr 13 marzo 2013, n. 59 e rilasciato su istanza di parte che incorpora in un unico titolo diverse autorizzazioni ambientali previste dalla normativa di settore (come il Dlgs 152/2006). Il Dpr individua un nucleo base di sette autorizzazioni che possono essere assorbite dall'Aua, alle quali si aggiungono gli altri permessi eventualmente individuati da fonti normative di Regioni e Province autonome.

Chi la può chiedere

Possono richiedere l'AUA le piccole e medie imprese come definite dal Dm 18 aprile 2005 e gli impianti non soggetti alla disciplina dell'AIA (Autorizzazione integrata ambientale).

A chi si chiede

La domanda deve essere presentata allo Sportello unico per le attività produttive (Suap) che la inoltra per via telematica all'Autorità competente per la procedura. Trascorsi 30 giorni senza richiesta di integrazioni, la domanda si intende regolarmente presentata.

Quando chiederla

La richiesta deve avvenire in occasione della scadenza del primo titolo abilitativo da essa sostituito. La domanda di AUA deve essere inoltrata per il rilascio, il rinnovo o l'aggiornamento di uno o più dei 7 titoli abilitativi elencati nell'articolo 3 del regolamento (e di quelli eventualmente individuati dagli enti locali). È fatta salva la possibilità per i gestori degli impianti di non ricorrere all'AUA in caso di attività soggette solo a comunicazione o ad autorizzazione generale, ferma restando la presentazione della comunicazione o dell'istanza al Suap.

Quando non si può chiederla

Se il progetto è sottoposto a valutazione di impatto ambientale (VIA) e le leggi statali o regionali stabiliscono che la Via sostituisce tutti gli atti di assenso di tipo ambientale, l'AUA non può essere richiesta. In caso di sottoposizione del progetto a "verifica di assoggettabilità" a VIA, occorre che la verifica si sia conclusa con un decreto negativo per poter procedere con l'AUA.

Tempi e costi

Se l'AUA sostituisce atti ambientali per i quali la conclusione del procedimento è inferiore o pari a 90 giorni, l'Autorità competente adotta il provvedimento finale entro 90 giorni e lo trasmette al Suap che rilascia il titolo. Resta ferma la possibilità di indire la conferenza dei servizi o l'obbligo se previsto dalla legge. Se l'AUA sostituisce titoli abilitativi ambientali per i quali la conclusione del procedimento è superiore a 90 giorni, il Suap indice entro 30 giorni la conferenza dei servizi. L'Autorità competente adotta l'AUA entro 120 giorni dal ricevimento della domanda, salve integrazioni. Le spese e i diritti sono quelli previsti per i vari provvedimenti più eventuali diritti di istruttoria. La somma totale dei costi istruttori però non può superare la somma totale di quello il soggetto già pagava per i vari titoli oggetto dell'AUA prima dell'entrata in vigore della disciplina.

Durata e rinnovo

L'AUA ha una durata di 15 anni decorrenti dal rilascio. In caso di attività di scarichi di sostanze pericolose (articolo 108, Dlgs 152/2006) i gestori degli impianti almeno ogni 4 anni devono presentare una dichiarazione di autocontrollo all'Autorità competente. La dichiarazione non influenza la durata complessiva dell'AUA. Il rinnovo deve essere chiesto almeno 6 mesi prima della scadenza.

 

SCADENZA AL 31/12/2015 DELLE AUTORIZZAZIONI ALLE EMISSIONI IN ATMOSFERA RILASCIATE AI SENSI DEL DPR 203/88

Il 31/12/2015 scadranno le autorizzazioni alle emissioni in atmosfera rilasciate, ai sensi del DPR 203/88, dal 1° gennaio 2000 al 29 aprile 2006.

In fase di rinnovo si potrebbe ricadere, a seconda del tipo di emissioni presenti, nella tipologia dell'Autorizzazione Unica Ambientale.

 

RICLASSIFICAZIONE RIFIUTI : I REGISTRI DI CARICO E SCARICO RIFIUTI PRIMA E DOPO IL 1 GIUGNO 2015

Dal 1° giugno 2015 per la gestione di registri e formulari devono essere utilizzate le nuove caratteristiche, tenendo presente che:

– non vi è regime transitorio;
​- non vi è assolutamente corrispondenza (o quasi) tra le vecchie H e le nuove HP e
– l’adeguamento richiede una vera e propria riclassificazione dei rifiuti pericolosi.

 

Riclassificazione dei rifiuti pericolosi

I rifiuti con “codice a specchio” (esempio: 080119*/080120) dovranno essere classificati e, se pericolosi, caratterizzati con indicazione delle pertinenti caratteristiche di pericolo HP, secondo le modalità e i criteri di cui al regolamento (UE) n. 1357/2014 (1).
rifiuti pericolosi con “codice assoluto” (esempio: 130205*; 140603*) le caratteristiche di pericolo dovranno essere anch’essi riclassificati secondo le nuove disposizioni.

Come compilare i registri di carico e scarico e i formulari dal 1° giugno 2015 per i rifiuti pericolosi

Per gestire la fase di adeguamento alla nuova normativa, va considerato:

– che rifiuti, prodotti prima del 1° giugno e in giacenza a tale data, verranno scaricati dal registro di carico e scarico con caratteristiche HP diverse da quelle con le quali sono stati presi in carico;
​- che a un determinato quantitativo di un dato rifiuto, prodotto prima del 1° giugno e in giacenza a tale data, quindi registrato in carico con la classificazione e caratterizzazione all’epoca vigente, si possono sommare dopo il 1° giugno ulteriori quantitativi dello stesso rifiuto, ma da registrarsi con la classificazione e la caratterizzazione eseguita con i nuovi criteri, ossia a norma del Regolamento 1357/2014.

 

Operativamente, per la tenuta del registro di carico e scarico:

– dal 1° giugno tutti i rifiuti pericolosi da registrare in carico, o da scaricare per avvio a smaltimento o recupero e da trasportare, devono essere classificati e caratterizzati con i nuovi criteri;
– in tutte le registrazioni, sia di carico che di scarico, eseguite dal 1° giugno in poi, nonché nei formulari emessi da tale data, per i rifiuti risultanti pericolosi in base ai nuovi criteri, dovranno essere riportati i pertinenti codici CER e HP.

 

Si consiglia, per mantenere una corretta tracciabilità, di evidenziare nello spazio “Annotazioni” in corrispondenza dei movimenti di carico antecedenti al 1 giugno e oggetto di scarico solo dopo il 1 giugno (ad esempio rifiuto con classe di pericolo HP1 esplosivo) la dicitura: “ non più H1 ma HP1 – riclassificazione a seguito Regolamento 1357/2014 – ”.
 

Un’attenzione particolare deve essere data ai rifiuti che hanno un codice a specchio (ovvero possono essere sia pericolosi che non pericolosi) per cui si è adottato, anche a seguito di analisi il codice di non pericoloso (es. sospensioni acquose contenenti pitture/vernici 080119*/080120)….con i nuovi criteri potrebbero “diventare” pericolosi. In tal caso occorre cambiare anche il codice CER. L’analisi, se effettuata, potrebbe dover essere ripetuta (dipende dalle caratteristiche di pericolo specifiche).

Anche sui formulari di trasporto relativi ai rifiuti prodotti prima del 1° giugno 2015, ma avviati a recupero o smaltimento dopo tale data, è opportuno che figuri, nello spazio “annotazioni” la dicitura “riclassificazione a seguito Regolamento 1357/2014”, ed eventualmente anche, fra parentesi, le vecchie caratteristiche H precedute da EX o GIA’.

Esempio: miscela di solventi 140603, già classificata H3B, H4-H5- H14; con la riclassificazione diventa HP3-HP4-HP6-HP14. nello spazio annotazioni va scritto “Riclassificazione secondo Reg. 1357/2014 (ex/già: 3B;H4-H5-H14) 

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