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Congedi di maternità flessibile: gli obblighi per i datori di lavoro

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30 Settembre 2022 Stampa

La legge n.53 del 2000 ha introdotto nel nostro ordinamento il “congedo di maternità flessibile”, ovvero la possibilità per la lavoratrice di continuare a svolgere l’attività lavorativa anche durante l’ottavo mese di gravidanza, con conseguente fruizione del congedo per un solo mese ante partum e per i residui quattro mesi post partum.

La Legge di Bilancio 2019 ha ulteriormente esteso questa flessibilità, ammettendo di fatto lo svolgimento dell’attività lavorativa anche durante il nono mese delle gravidanza e fruizione dell’intero congedo (cinque mesi) nel periodo successivo al parto.

Secondo le indicazioni di prassi impartite nel 2000 (e non più riviste da successivi interventi ndr.) la fruizione del congedo è subordinata all’acquisizione – durante il settimo mese di gravidanza – di una doppia certificazione medica, una rilasciata dallo specialista ginecologo del Servizio Sanitario Nazionale (o con esso convenzionato), l’altra dal medico competente aziendale (se previsto per la mansione. Se non lo è, la dichiarazione del datore di lavoro sulla non obbligatorietà del medico responsabile aziendale).

Come detto, questa documentazione deve essere redatta nel corso del settimo mese di gravidanza, o entro la data in cui avrebbe inizio il congedo nella “ordinaria” modalità (due mesi ante, tre mesi post). Nella prassi si è a volte verificato che le lavoratrici fruissero per fatti concludenti della flessibilità (proseguendo l’attività lavorativa durante l’ottavo e a volte anche il nono mese), in assenza delle previste certificazioni, redatte solo successivamente.

Su questo aspetto si registrano due diversi interventi, uno di prassi ed uno della giurisprudenza:

  • l’INPS ha affermato che l’assenza delle previste certificazioni non consente il ricorso alla forma flessibile del congedo, da cui l’integrale “disconoscimento” dello stesso, con conseguente calcolo del periodo di maternità secondo le “ordinarie” modalità, ossia due mesi prima della data presunta del parto e tre mesi dopo la data effettiva, anche se tale modalità si scontra con i fatti concludenti del rapporto di lavoro (la lavoratrice – è un dato di fatto – ha continuato a lavorare anche durante l’ottavo mese);
  • la Corte di Cassazione – Sezione lavoro, sentenza n. 10180/2013 – ha chiarito che: “se accade […] che il certificato venga presentato oltre il settimo mese e la lavoratrice abbia continuato a lavorare, il datore di lavoro, salve le sue eventuali responsabilità di natura penale, dovrà corrisponderle la retribuzione e quindi l’INPS non corrisponderà la indennità di maternità per l’ottavo mese di gravidanza. Se la certificazione viene nelle more acquisita, la lavoratrice che aveva continuato a lavorare nell’ottavo mese usufruirà dell’astensione fino al quarto mese successivo alla nascita, percependo dall’INPS la relativa indennità. Il periodo complessivo di cinque mesi non è disponibile. La mancata presentazione preventiva delle certificazioni comporta che il lavoro nell’ottavo mese è in violazione del divieto di legge con le conseguenze previste nel testo unico, ma non comporta conseguenze sulla misura della indennità di maternità”.

Questa sentenza “slega” il diritto della fruizione del congedo nella forma flessibile dagli obblighi relativi alla certificazione (e relativa data di rilascio), almeno per quanto riguardo gli aspetti indennitari della maternità, di competenza dell’INPS, relegando la loro funzione alla individuazione delle eventuali responsabilità del datore di lavoro (che deve dunque rifiutare la prestazione lavorativa durante l’ottavo od eventualmente non mese in assenza della prevista documentazione).

È poi di tutta evidenza la discrasia tra le indicazioni di prassi dell’INPS e la posizione della giurisprudenza, peraltro richiamata dal crescente aumento dei ricorsi amministrativi e giudiziari presentati dalle lavoratrici, cosa questa che ha portato l’INPS ad un vero e proprio cambio di rotta.

Gli obblighi per i datori di lavoro

Da ora in poi (ma l’indicazione vale anche per le domande già presentate ed ancora in fase istruttoria ndr.) la lavoratrice non dovrà più produrre la prevista certificazione medica all’Istituto, ma solamente ai propri datori di lavoro. L’INPS – con il chiaro intento di evitare il contenzioso incentrato proprio sulla certificazione – sceglie di rinunciare alla certificazione stessa relegando i relativi obblighi ad una questione privata tra lavoratrice e datore di lavoro.

Obblighi di certificazione che, al di là del fatto che INPS si chiami fuori dal prenderne visione, restano comunque nel merito e nelle tempistiche, per cui le lavoratrici dipendenti che intendano fruire del congedo flessibile devono ancora acquisire nel corso del settimo mese di gravidanza (e, quindi, prima dell’inizio dell’ottavo mese) le certificazioni sanitarie attestanti che la prosecuzione dell’attività lavorativa durante l’ottavo mese di gravidanza non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.

E, una volta acquisite, le devono presentare al proprio datore di lavoro prima dell’inizio dell’ottavo mese di gravidanza affinché lo stesso possa legittimamente consentire la prosecuzione dell’attività lavorativa nell’ottavo mese, in deroga al generale divieto di adibire le donne al lavoro durante i due mesi prima della data presunta del parto.

Il datore di lavoro, in assenza di questa certificazione prodotta alle corrette tempistiche, non può ammettere la lavoratrice a svolgere l’attività lavorativa, cosa questa che non viene ovviamente meno. L’unica vera novità è che le certificazioni sanitarie non devono più essere prodotte all’INPS, essendo sufficiente dichiarare nella domanda telematica di congedo di maternità di volersi avvalere della flessibilità, indicando il numero dei giorni di flessibilità.

Inoltre non è più necessario produrre all’INPS la dichiarazione del datore di lavoro relativa alla non obbligatorietà della figura del medico responsabile della sorveglianza sanitaria sul lavoro.

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