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Lavori in quota e cadute dall’alto

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15 Maggio 2017 Stampa

Lavori in quota e cadute dall’alto

Il testo unico 81/2008, agli articoli 105 e seguenti, ci offre un’importante definizione di lavori in quota, stabilendo che si intende per lavoro in quota “un’attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto a un piano stabile”.

Questo rischio, che raggiunge il suo massimo nei cantieri temporanei e mobili, dove le lavorazioni in altezza vengono svolte quotidianamente, interessa tutte le attività lavorative che espongono i lavoratori a rischi di caduta da un’altezza superiore a 2 metri, in particolare i manutentori di fabbricati e/o di impianti. È fondamentale che gli addetti, in relazione alle protezioni adottate dal datore di lavoro, operino nel rispetto delle indicazioni da questi fornite e nel rispetto delle indicazioni fornite dal costruttore nel caso vengano utilizzati dei dispositivi di protezione individuale.

Le protezioni utilizzate

Al fine di garantire la massima protezione dei lavoratori, la legge disciplina ed elenca i principali tipi di protezioni che il datore di lavoro deve fornire al lavoratore.

Esse si dividono in:

– Collettive: quali il ponteggio metallico fisso, i parapetti, le reti di sicurezza;
– Personali: quali i dispositivi individuali di protezione individuale ( DPI) come elmetti di protezione, dispositivi anticaduta, dispositivi di ancoraggio, imbracatura per il corpo;
– Temporanee: quali il ponteggio metallico fisso, i parapetti mobili;
– Fisse: quali i parapetti e sistemi fissi di ancoraggio.

Sarà naturalmente compito ed onere del datore di lavoro scegliere le misure di volta in volta più idonee per garantire l’incolumità al dipendente, a seconda del tipo di lavorazione e del grado della pericolosità della stessa.

È importante sottolineare che la giurisprudenza è ferma nel ritenere che il compito del datore di lavoro non può esaurirsi nel fornire ai lavoratori le misure e gli addestramenti necessari a garantire loro l’incolumità; ma, in quanto esso stesso è titolare di uno specifico obbligo di garanzia nei confronti dei dipendenti stessi, permane su di esso un obbligo di controllo tale per cui egli dovrà assicurarsi che, effettivamente, ogni singolo lavoratore si avvalga in modo costante e corretto delle misure stesse.

I principali pericoli

Numerosi sono i pericoli cui il lavoratore può incorrere nelle lavorazioni in quota. I principali incidenti così come trattati da numerose sentenze di Cassazione, sono allora i seguenti:

– Caduta dall’alto in seguito alla perdita di equilibrio del lavoratore e/o all’assenza di adeguate protezioni (collettive o individuali). Nella fase di arresto della caduta infatti le decelerazioni devono essere contenute entro i limiti sopportabili senza danno del corpo umano.
– La sospensione inerte che, a seguito di perdita di conoscenza, può indurre la cosiddetta “patologia causata dalla imbracatura”, che consiste in un rapido peggioramento delle funzioni vitali in particolari condizioni fisiche e patologiche. Per ridurre il rischio da sospensione inerte è fondamentale che il lavoratore sia staccato dalla posizione sospesa al più presto.
– Quando esiste il rischio di caduta, può accadere che il lavoratore, sottoposto al cosiddetto “effetto pendolo”, possa urtare contro un ostacolo o al suolo.
– Lesioni generiche (schiacciamenti, cesoiamenti, colpi, impatti, tagli) causate dall’investimento di masse cadute dall’alto durante il trasporto con gru, argani, ecc.

Obblighi del datore di lavoro

Il datore di lavoro, nei casi in cui i lavori temporanei in quota non possono essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate a partire da un luogo adatto allo scopo, è obbligato a scegliere le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, in conformità ai seguenti criteri:

– priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
– dimensioni delle attrezzature di lavoro confacenti alla natura dei lavori da eseguire, alle sollecitazioni prevedibili e ad una circolazione priva di rischi.

Oltre questo, inoltre, deve scegliere il tipo più idoneo di sistema di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota in rapporto alla frequenza di circolazione, al dislivello e alla durata dell’impiego, tenendo sempre in considerazione l’aspetto della tutela e salvaguardia del lavoratore e l’eventuale e immediata evacuazione in caso di pericolo imminente.

Il passaggio da un sistema di accesso a piattaforme, impalcati, passerelle e viceversa non deve comportare rischi ulteriori di caduta.

Il datore di lavoro deve disporre una scala a pioli quale posto di lavoro in quota, solo se altre attrezzature, benché sicure, non siano compatibili con le caratteristiche dei siti, oppure se la durata di impiego è di breve durata. Inoltre, il sistema di accesso e di posizionamento mediante funi e sedili di sicurezza devono essere utilizzate in tutte quelle circostanze in cui non può essere impiegata un’altra tipologia di attrezzatura.

In relazione alle varie tipologie di attrezzature di lavoro adottate, il datore di lavoro deve individuare le misure atte a minimizzare i rischi per i lavoratori, insiti nelle attrezzature in questione, prevedendo, ove necessario, l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute. Questi dispositivi devono presentare una configurazione ed una resistenza tali da evitare o da arrestare le cadute da luoghi di lavoro in quota e da prevenire, per quanto possibile, eventuali lesioni dei lavoratori. I dispositivi di protezione collettiva contro le cadute possono presentare interruzioni soltanto nei punti in cui sono presenti scale a pioli o a gradini. Il datore di lavoro, nel caso in cui l’esecuzione di un lavoro di natura particolare richiede l’eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute, adotta misure di sicurezza equivalenti ed efficaci. Una volta terminato definitivamente o temporaneamente detto lavoro di natura particolare, i dispositivi di protezione collettiva contro le cadute devono essere ripristinati. Altro aspetto che il datore di lavoro deve considerare sono le condizioni meteo, ed invero solo se le condizioni meteorologiche non mettono in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori, il datore di lavoro può decidere di effettuare la lavorazione in quota.

La circolare del 27 agosto 2010: chiarimenti dal Ministero

Riportiamo i chiarimenti della circolare esplicativa del Ministero del lavoro che, a seguito di numerose richieste interpretative, si è finalmente espressa in riferimento a particolari tematiche, considerate molto complesse e delicate.

Sull’adeguatezza del ponteggio all’evoluzione del progresso tecnico: chiarimenti circa la necessità di ottenere rinnovo decennale dell’autorizzazione ex art. 131, comma 5, t.u. 81/ 2008. A tal proposito, il Ministero chiarisce che “la validità decennale delle autorizzazioni ministeriali, rilasciate prima del 15 maggio 2008, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2008, decorre dalla medesima data, quindi detta validità si intende estesa fino al 14 maggio 2018. Per quelle autorizzazioni ministeriali rilasciate successivamente al 14 maggio 2008 la validità decorrerà dalla data di rilascio”.

È inoltre specificato che “l’obbligo di richiedere il rinnovo dell’autorizzazione ministeriale di cui all’articolo 131 del d.lgs. n. 81/2008 riguarda il titolare dell’autorizzazione ministeriale e non l’impresa utilizzatrice: pertanto l’impresa utilizzatrice potrà impiegare i ponteggi anche dopo la cessazione della validità decennale dell’autorizzazione medesima. Si evidenzia infine che l’autorizzazione ministeriale si intenderà automaticamente sospesa, nei soli confronti del titolare dell’autorizzazione medesima, in assenza dell’avvenuto rinnovo decennale”.

Sulla necessità di allegare, ad ogni acquisto di nuovi elementi del ponteggio, il libretto di autorizzazione ministeriale.

La risposta del Ministero al quesito non può che essere affermativa. Infatti, l’art. 131 del t.u. 81/2008 stabilisce che chiunque intende impiegare ponteggi deve farsi rilasciare dal fabbricante copia dell’autorizzazione ministeriale e delle istruzioni e schemi dello stesso impianto. Inoltre l’art. 134 impone di esibire, nei cantieri in cui vengono utilizzati ponteggi, a richiesta degli organismi di vigilanza, copia della predetta documentazione e copia del piano di montaggio, uso e smontaggio.

Sulla possibilità di utilizzare i ponteggi, previo specifico progetto, come protezione collettiva per i lavoratori che svolgono la loro attività sulle coperture (e quindi in posizione diversa dall’ultimo impalcato del ponteggio). A tale quesito il Ministero fornisce parere positivo; a condizione però che “per ogni singola realizzazione e a seguito di adeguata valutazione dei rischi venga eseguito uno specifico progetto”. Da tale progetto comunque dovrà risultare quanto occorre per definire lo specifico schema di ponteggio nei riguardi dei carichi, delle sollecitazioni e dell’esecuzione, e tenendo conto della presenza di lavoratori che operano, oltre che sul ponteggio, anche in copertura.

Sulla necessità di provvedere al raddoppio dei montanti in presenza di un apparecchio di sollevamento materiali montato su un ponteggio. Il parere del Ministero al riguardo è affermativo. Infatti, a norma dell’allegato XVIII del t.u. 81/2008 “qualora apparecchi di sollevamento vengano fissati direttamente sui montanti delle impalcature, detti montanti devono essere rafforzati e controventati in modo da ottenere una solidità adeguata alle maggiori sollecitazioni a cui sono sottoposti”.

Sulla possibilità che su un ponteggio regolarmente autorizzato e a norma di legge si sostituiscano i fermapiedi prefabbricati con altri fermapiedi autorizzati ma appartenenti ad altra autorizzazione ministeriale. Secondo il Ministero, tale situazione è consentita; previa però verifica della compatibilità dell’elemento prefabbricato con lo schema strutturale.

Sulla necessità che gli elementi di ripartizione dei carichi dei montanti al di sotto delle piastre di base metalliche delle basette di un ponteggio debbano essere obbligatoriamente costituiti da tavole di legno. Il Ministero chiarisce che la normativa non prevede l’obbligatorietà dell’utilizzo di un particolare materiale, purché tali elementi di ripartizione siano di dimensioni e caratteristiche adeguate ai carichi da trasmettere ed alla consistenza dei piani di posa in modo da non superarne la resistenza unitaria.

Sulla possibilità che l’elemento in plastica impiegato per rivestire i giunti dei ponteggi a tubi e giunti possa costituire una soluzione per consentire la viabilità delle persone e dei veicoli, in quanto elemento limitante i rischi dovuti alle sporgenze dei componenti dei giunti. La risposta del Ministero è assolutamente positiva. Oltretutto, viene chiarito che la vigente normativa non prevede alcun tipo di omologazione per tale elemento in plastica.

Sulla possibilità dell’impiego di tubi in acciaio con diametro e spessore nominali (pari a 48.3 mm e 2.9 mm) con riferimento ai ponteggi a montanti e traversi prefabbricati. A tal proposito, il Ministero chiarisce che “L’impiego di tubi in acciaio di diametro e spessore nominali, rispettivamente pari a 48.3 mm e 2.9 mm, per l’utilizzo quali montanti nei ponteggi a montanti e traversi prefabbricati, è consentito con snervamento minimo pari a 235 daN/mm2 in conformità alla Tabella 2 del punto 6.2.2 della norma Uni En 12810-1.Quanto sopra è in accordo con i punti 4.2.1.2 della norma Uni En 18811-1 e 6.2.2 della norma Uni En 12810-1, dal momento che i tubi dei montanti dei ponteggi a montanti e traversi prefabbricati non possono essere considerati tubi sciolti quali quelli dei ponteggi a tubi e giunti, ma elementi che hanno subito una lavorazione e quindi elementi prefabbricati.Resta naturalmente l’obbligo di non ridurre i coefficienti di sicurezza fino ad oggi adottati, nonché i carichi fissi e variabili e quant’altro possa intervenire negativamente sulle verifiche di calcolo del ponteggio.

Sulla possibilità di eliminare l’elemento contro lo sganciamento dei montanti se, in accordo alla normativa europea, il tubo interno di collegamento tra i montanti è di almeno 150 mm. Il parere del Ministero è positivo. Infatti nella circolare è specificato che “Anche in accordo con il punto 10.2.3.1 della norma UNI EN 10811-1 si ritiene sia possibile, nell’ambito dell’autorizzazione ministeriale di cui al comma 2 dell’articolo 131 del d.lgs. n. 81/2008 prevedere, in presenza di spinotto, fissato in modo da garantire l’unione solidale e permanente ad un montante, di almeno 150 mm di lunghezza, oltre agli schemi-tipo completi di spina a verme, anche schemi-tipo privi di spina a verme, ma che presentino ancoraggi a tutte le stilate in corrispondenza del primo e dell’ultimo piano di ponteggio, oltre che a tutti i piani della prima e dell’ultima stilata”.

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