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La guerra in Ucraina e la nostra dipendenza energetica dalla Russia

4 minuti di lettura
1 Marzo 2022 Stampa

L’invasione russa dell’Ucraina ha innescato una violenta accelerazione della crisi energetica in corso (di cui abbiamo scritto anche qui), amplificando gli effetti recessivi. A scriverlo è l’Ufficio Studi di Confartigianato in un’analisi pubblicata sul sito della Confederazione che vi proponiamo di seguito.

Il conflitto scoppiato nel cuore dell’Europa genera un allineamento dei fattori di rischio sulla scacchiera energetica dell’Italia, pericolosamente intrecciati con l’eccessiva tassazione dell’energia, poco rispettosa del principio chi inquina paga e che penalizza maggiormente le micro e piccole imprese. Le evidenze emergono dal nuovo report di Confartigianato “Caro commodities: il deragliamento dei prezzi dell’energia nell’inverno 2021-2022″, anticipate nella rubrica dell’Ufficio Studi su QE-Quotidiano Energia.

Russia primo beneficiario del deficit energetico italiano

Nell’ultimo anno la bolletta energetica è peggiorata di 16,7 miliardi di euro, un punto di PIL, riducendo la creazione di prodotto interno lordo, spostandolo all’esterno, verso i paesi fornitori di petrolio e gas, il primo dei quali è proprio la Russia, che detiene una quota delle importazioni energetiche del 19,9%, davanti ad Azerbaigian con 15,9%, Libia con 13,7%, Algeria con 12,6%, Iraq con 9,0%, Arabia Saudita con 6,3%. Per l’intera Unione europea, la Russia è il primo fornitore sia di petrolio greggio che di gas naturale.

Gas, una maionese impazzita

Nel turbinio di prezzi del gas quintuplicati nell’ultimo anno e la crescita della domanda – nel 2021 il consumo in Italia di questa commodities è salito del 7,2% – la dipendenza dell’Italia dalle forniture russe di gas è addirittura aumentata nell’ultimo anno, salendo al 41,5% dei primi 11 mesi del 2021, in aumento di 0,3 punti rispetto al 41,2% dello stesso periodo del 2020. Dal 2013, anno precedente allo scoppio della crisi in Crimea, la quota della Russia sulle importazioni italiane di gas è salita di 4,4 punti (era 37,1%).

L’Italia, producendo quasi la metà (47,7%) dell’energia elettrica utilizzando il gas, contro il 16,7% in Germania e il 6,6% in Francia, è maggiormente danneggiata dall’inflazione energy-driven. L’analisi dei dati di Eurostat pubblicato mercoledì scorso evidenzia che a gennaio 2022 il prezzo di energia elettrica e gas in Italia aumenta del 57,6%, quasi il doppio del +31,2% della media dell’Eurozona e più del triplo del +17,0% della Francia e del +15,3% della Germania.

Alla progressiva decarbonizzazione prevista dalle politiche green europee si associa il dimezzamento nell’arco di sette anni della produzione di gas naturale, che in Italia scende del 53,4% tra il 2014  e il 2021. Nel nostro Paese la produzione autoctona di gas soddisfa solo il 4,4% del consumo interno del 2021, in discesa rispetto al 5,8% del 2020 e il 6,5% del 2019.

Alta dipendenza dal tubo

L’Italia potrebbe attenuare la spinta dei prezzi del gas diversificando le forniture con maggiori importazioni di gas liquefatto, ma questo non sta avvenendo: nel 2021 la quota dei volumi di gas liquefatto diretto ai terminali di rigassificazione è scesa al 13,5% delle importazioni, ben 5,5 punti in meno rispetto al 19% del 2020.

Fata morgana delle rinnovabili

Uno dei paradossi della transizione green evidenzia che a fronte di 61 miliardi di euro pagati negli ultimi cinque anni da cittadini e imprese per oneri di sistema per incentivare la produzione di elettricità da fonti rinnovabili, tra il 2017 e il 2021 l’energia elettrica prodotta con il solare in Italia cresce solo dell’1%, mentre la Spagna registra un aumento dell’84,3% e a fine 2021 sorpassa l’Italia per volume di elettricità prodotta con il sole.

Carbon pax

Nell’ambito delle politiche di diversificazione delle fonti energetiche, si sta discutendo di un ritorno al carbone. Nonostante gli obiettivi del Green deal europeo ne impongano l’abbandono, nei primi undici mesi del 2021, nell’Unione europea a 27 la produzione di energia elettrica con il carbone sale del 20,5% rispetto all’anno precedente, trainata dal +24,9% in Germania e dal +17,9% in Polonia, i due paesi che concentrano il 69,8% dell’elettricità prodotta con il carbone nell’Unione. Qual è il primo fornitore dell’Ue di carbone? La Russia, con il 49,1% del totale, quota più che raddoppiata rispetto al 23,9% del 2013.

È alto il rischio di uno scacco al PIL – conclude l’analisi di Confartigianato Imprese – speriamo non sia matto.

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