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Non si devono disperdere i legami con il territorio

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8 Febbraio 2015 Stampa

I flussi del credito non vanno concentrati a danno della nostra economia» Il decreto non convince e si spera in una revisione.

decreto di riforma delle 10 maggiori banche Popolari italiane, destinate a essere trasformate da cooperative a società per azioni, fa discutere e coinvolge a pieno titolo il mondo imprenditoriale modenese. A Modena ha sede Bper per non parlare di Bsgsp, controllato dal Banco Popolare. Ecco allora una serie di valutazioni e pareri di imprenditori e loro rappresentanti sui possibili mutamenti dei rapporti fra aziende e settore bancario.
Silvia Manicardi, imprenditrice del commercio, è anche presidente Lapam della zona di Modena: «Il modello dell' economia globalizzata – afferma – va coniugato con i sistemi di economie locali che hanno fatto la storia e il successo del made in Italy. Proprio le banche popolari sono state e devono continuare a essere protagoniste di questo processo perché, anche grazie alla loro struttura societaria, sono attente e rispettose delle esigenze delle piccole imprese radicate nel territorio. Nella nostra zona lo sviluppo delle pmi commerciali e artigianali è storicamente legato a istituti bancari attenti alle esigenze degli imprenditori e capaci di "leggere" con sapienza le singole situazioni e di intervenire in modo adeguato. Ci auguriamo che le banche popolari non siano messe nelle condizioni di dovere perdere lo stretto rapporto con il territorio e con il tessuto economico del Paese, per questo siamo contrari alla riforma».
«Innanzitutto – dice Umberto Venturi, presidente di Cna Modena – occorre sgombrare il campo da un equivoco: la forma cooperativa delle banche non è di per sé un disvalore. A dimostrarlo ci sono esempi europei come quello tedesco, dove landesbanke e le sparkasse operano al fianco dei grandi gruppi, ciascuno con la sua peculiarità giuridica. E mi pare anche che la crisi finanziaria non sia stata provocata dalle piccole banche, ma piuttosto dai grandi gruppi. Detto questo, è evidente che alcune Popolari abbiano raggiunto una dimensione tale da rendere necessaria una riforma. Nel perseguirla, però, occorre tenere conto dei legami con il territorio di gran parte di questi istituti di credito e che "liberalizzarle" in toto, ovvero trasformarle in spa, implica il rischio che queste possano diventare prede di grandi fondi internazionali che a loro volta potrebbero decidere di investire la raccolta in altri Paesi. La proposta di autoriforma presentata da Assopopolari va tenuta in considerazione, non fosse altro perché i provvedimenti condivisi sono quelli che hanno più efficacia».
Luppi, imprenditore meccanico di Camposanto e San Felice, è anche membro di Giunta Lapam: «Il problema dell' accesso al credito è un problema generale – dice Luppi – Ovviamente gli istituti che lavorano di più sono quelli che hanno più radicamento sul territorio, perché hanno anche un valore sociale. Non si deve andare verso l' uniformità del sistema bancario, crediamo ci debba essere un equilibrio e che l' offerta debba essere ampia e diversificata: di per sé diventare grandi non è necessariamente un fatto positivo. Dobbiamo registrare come il localismo bancario abbia contribuito allo sviluppo del sistema produttivo italiano rappresentato per il 95% da piccole e piccolissime imprese. Per questo siamo contrari alle ipotesi di riforma delle banche popolari e chiediamo un ripensamento e una revisione del provvedimento».
Ferraresi, responsabile Area economico-finanziaria di Apmi Confimi Impresa Modena: «La principale preoccupazione delle nostre imprese, anche in relazione a questo annuncio, è la disponibilità di credito, che ha a che fare con la capacità delle banche di essere a stretto contatto con l' azienda e con l' imprenditore, di conoscerne la storia e, non ultimo, di poterne valutare la visione e i progetti. La tenuta e la crescita delle nostre pmi non può essere accompagnata da robot che stilano asetticamente indici e statistiche. Risulta quindi elemento sempre più indispensabile che la banca sia davvero "vicina" all' impresa, che "respiri la stessa aria", che ne conosca storia e uomini.
spaventa quindi l' eventualità di lavorare con istituti di grandi dimensioni, la tendenza è in questa direzione; abbiamo esempi assolutamente positivi di grandi banche molto vicine al territorio e alle nostre piccole e medie imprese. La nostra preoccupazione è che l' eventuale mutata morfologia del sistema bancario corrisponda a una volontà di concentrare anche i flussi del credito, a danno delle economie come la nostra. È soprattutto su questo pericolo che occorre vigilare».
aperto alla riforma l' imprenditore carpigiano Giorgio Carretti, titolare di un' azienda tessile di Carpi.
«Oggi – dice Carretti – l' imprenditore che si rapporta con un istituto di credito non guarda certo la ragione sociale del partner finanziario. A fare la differenza sono le condizioni praticate, l' assistenza: è il mercato, e non la forma societaria, il soggetto che impone le regole per fare profitto. Di sicuro le banche sono imprese come tutte le altre, per cui comunque, opereranno in una logica di profitto indipendentemente dal modello di governance adottato. Rimane da valutare l' impatto che potrebbe avere l' ingresso, nel management delle popolari, di gruppi stranieri, facilitati in queste operazioni dalla trasformazione in spa. Ma non si deve demonizzare questa eventualità: credo che una delle motivazioni che potrebbero spingere grandi investitori ad acquisire banche locali sia proprio il valore delle relazioni che queste ultime non vorranno azzerare».
Abbruzzese, patron della Next Italia, azienda attiva nella produzione e nel commercio di capi tech e di borse e accessori: «È evidente come sia stata proprio la struttura cooperativa delle banche popolari a garantire un forte legame tra credito e sistema economico-produttivo territoriale, capace di fare crescere le imprese locali – è il parere di Abbruzzese – Dunque la prospettata riforma pone interrogativi seri su come potrebbe essere cambiata la vocazione delle banche popolari a cui siamo affezionati. Ma l' auspicio è che la loro possibile trasformazione in spa porti con sé una ventata di aria fresca, prima ancora che un nuovo apporto di capitali, capace di fare tornare con vigore la voglia di investire e accompagnare sui mercati internazionali pmi di assoluto valore e per le quali, di fronte a un mercato interno sempre più asfittico, quella dell' export è strada obbligata».
Bergamaschi di Confagricoltura Modena: «Cosa comporterà questa riforma per il mondo dell' agroalimentare ancora non è possibile saperlo, ma rimaniamo vigili su come evolverà e su quali saranno le ripercussioni. Non è una novità che queste banche si interessino a noi: investendo nel settore agricolo, le banche hanno sempre perso poco, il loro rischio è vicino allo zero, perché la maggior parte delle aziende agricole rispetta gli impegni».

Gazzetta di Modena – 8 febbraio 2015

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