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Sfide odierne che vengono da lontano

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2 Agosto 2019 Stampa

La storia

Le organizzazioni libere di rappresentanza degli interessi artigiani nacquero dalle ceneri della Federazione artigiana fascista negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale e in quelli successivi, tra il 1945 e il 1946. Con esse prese vita il pluralismo associativo.
quel contesto, il primo nucleo di Confartigianato scaturiva dall’unione di due componenti. Innanzitutto, dalla vivacità, dal fermento e dall’iniziativa degli artigiani, che nei mesi successivi alla liberazione angloamericana del territorio diedero spontaneamente vita ad associazioni più o meno grandi, di carattere sia apartitico che vicine ai partiti in via di ricostituzione. In secondo luogo, la Confederazione nasceva dall’impegno e dall’esperienza di uomini che avevano rivestito un ruolo centrale nell’ambito della rappresentanza del settore già nei decenni precedenti, primo tra tutti Manlio Germozzi, considerato il fondatore della Confartigianato e destinato a rivestire ruoli di primo ordine all’interno della nuova compagine associativa.

Ebbe allora inizio un processo che avrebbe impiegato più di un decennio per giungere ad un primo stadio di maturazione, dando vita ad una Confederazione con un programma da realizzare ben definito, un’organica e omogenea presenza sul territorio nazionale, una leadership e una rete di funzionari e affiliati, un elevato grado di legittimazione sia in ambito associativo sia istituzionale.
tra i temi più ricorrenti del dibattito associativo attuale, come l’evoluzione dei sistemi di rappresentanza, l’autonomia, la valorizzazione della capacità imprenditoriale, l’innovazione, affondano le loro radici in quel clima storico, avendo rappresentato le sfide primarie dell’azione di Confartigianato.

I valori

I valori ideologico-culturali sui quali la Confederazione costruì il suo “progetto democratico” e la sua identità associativa furono chiari sin dall’inizio: dare dignità scientifica agli studi di settore contro la precedente visione dell’artigianato come dimensione idilliaca, difendere la libertà d’iniziativa artigiana e la proprietà privata, collaborare con l’industria senza rinunciare a costruirsi uno spazio pienamente autonomo, valorizzare gli artigiani come componente fondamentale del ceto medio, ottenere il riconoscimento giuridico del carattere imprenditoriale del lavoro artigiano come punto di partenza per l’avvio di politiche di settore.

Una delle prime e più rilevanti battaglie fu appunto quella per la realizzazione di un complesso sistema di norme che affrontassero i problemi della categoria in modo esaustivo, evitando provvedimenti estemporanei e parziali. Si trattò di un impegno non facile, con risultati solo in parte positivi, che si scontrò con la «politica del contagocce» – come venne definita dai vertici confederali – portata avanti dai primi governi del paese. Ciò nonostante, la metà degli anni Cinquanta rappresentò una prima stagione di riforme per il settore: il potenziamento dell’Artigiancassa (già nata nel 1947), l’emanazione delle norme per l’apprendistato, l’introduzione della disciplina giuridica dell’artigianato, l’avvio dell’assicurazione di malattia, la creazione delle casse mutue per l’assistenza sanitaria e la legge sulle pensioni di invalidità e vecchiaia furono le principali conquiste di questi anni.

Il dibattito con gli altri attori sociali

Accanto a quella che potremmo definire come la fase di incubazione dei programmi, nel dopoguerra Confartigianato si confrontò anche con gli altri organismi di rappresentanza, quelli degli artigiani e quella degli industriali, e con la politica e i partiti democratici. Attraverso questo dibattito si gettarono le basi della sua legittimazione su diversi piani, tra cui quello istituzionale; si avviava così a diventare una delle associazioni artigiane più rappresentative.
una fase segnata da alterne vicende – tra tentativi di creazione di un fronte unitario degli artigiani autonomi, continue fratture e ricomposizioni – che alla fine confermarono il carattere frammentato e plurimo della rappresentanza, reso insanabile dalla subentrata conflittualità tra le associazioni per via dei diversi orientamenti politico-ideologici.

Seguì quindi il boom economico, che traghettò il settore e le sue associazioni di interessi nel pieno degli anni Sessanta: nuove sfide furono avanzate dai cambiamenti legati all’ampliamento del mercato, con l’apertura di quello europeo, e dall’avvio del centrosinistra e della programmazione economica.

Le parole chiave per leggere questa seconda fase furono ammodernamento e raggiungimento della piena autonomia.

Gli anni del boom

L’artigianato doveva riuscire ad inserirsi nella grande trasformazione economica di cui l’Italia era protagonista promuovendo la crescita delle aziende, l’innovazione produttiva e l’ampliamento dei circuiti commerciali. Soluzione del problema creditizio, formazione professionale, revisione del sistema tributario e impegno nel contesto europeo furono i principali nodi dell’azione di Confartigianato in questa fase.
e ombre, tuttavia, segnarono anche tale percorso tra impulsi positivi, provenienti dalla dinamicità del mercato, e fattori frenanti, legati al ritardo delle riforme nel paese e al carattere meramente consultivo di molti nuovi organismi internazionali di settore (Uiapme, Fia, Uacee).

L’altra questione destinata a diventare centrale nel dibattito interno e politico-istituzionale fu quella della specificità dell’artigianato a tutti i livelli – previdenziale, fiscale, creditizio, contrattuale – e del riconoscimento della sua autonomia. Se il primo passo verso la conquista di una posizione indipendente nel panorama normativo ed economico era stato il varo della disciplina giuridica dell’artigianato (legge 860/1956), fu la contrattazione nei rapporti di lavoro degli anni Sessanta lo snodo cruciale per il raggiungimento della piena autonomia. Dopo un lungo iter di attività negoziali con gli altri organismi di rappresentanza degli artigiani (Cna, Claai, Casa), con quelli dei lavoratori (Cgil, Cisl e Uil), con Confindustria e con il governo, si giunse alla sottoscrizione del primo contratto collettivo dell’artigianato verso la fine del decennio. Benché redatto sul modello di quello dell’industria, esso consentiva margini di adattamento alle prerogative dell’artigianato e soprattutto segnava, sul versante della regolamentazione dei rapporti di lavoro, una netta e definitiva separazione tra artigianato e industria.

Con l’avvio della programmazione economica, il tema dell’autonomia dell’artigianato trovò un ulteriore terreno di discussione, a causa della marginalizzazione del settore nei diversi disegni programmatori, che riducevano l’artigianato ad un ruolo subordinato rispetto ai comparti economici trainanti, non riconoscendone la dinamicità interna e l’impulso modernizzatore. Infatti, mentre gli anni a cavallo tra Cinquanta e Sessanta avevano visto alla prova una spinta riformatrice nel settore, il periodo del centrosinistra fu segnato dal progressivo esaurirsi della stessa, lasciando in eredità agli anni successivi molte questioni irrisolte.

In un panorama associativo che si era ormai assestato, superando i fermenti della prima fase, negli anni Sessanta Confartigianato lavorò, inoltre, al potenziamento della propria forza organizzativa. Poté così vantare una ramificazione capillare su tutto il territorio italiano attraverso le sue sedi e una quota maggioritaria di rappresentatività nella gran parte delle casse mutue e nelle commissioni provinciali e nazionali di settore, nonché negli organismi comunitari europei, confermandosi come prima organizzazione di rappresentanza dell’artigianato sia sul piano nazionale che internazionale.

L'autrice dell'articolo

Anna Pina Paladini è titolare di un assegno di ricerca senior presso l'Università del Salento. Si occupa principalmente di storia degli enti pubblici e dell'associazionismo, con particolare attenzione alle piccole imprese.
questi temi ha pubblicato saggi e articoli in volumi collettanei e in riviste scientifiche nazionali; è inoltre autrice di tre monografie: Confartigianato dalle origini al consolidamento democratico. 1946 – 1958 (Milano, Guerini e Associati, 2016); Tra Stato e parastato. L'Ente Nazionale Artigianato e Piccole industrie 1925 – 1978 (Galatina, 2017) e Confartigianato dal miracolo economico alla nascita delle regioni 1959 – 1970 (Milano, Guerini e Associati, 2018). 

 

 

 

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