Quando gli pneumatici di automobili, camion, moto non soddisfano più i criteri di efficienza e sicurezza e devono essere cambiati, diventano un rifiuto. Da questo momento in poi prendono il nome di PFU, “pneumatici fuori uso” che occorre distinguere dai “pneumatici usati”. La riformulazione dei codici rifiuto del D.lgs. 152/2006 e successivi aggiornamenti, ha creato due diverse classificazioni.
Pneumatici usati
Gli pneumatici usati rimangono nel mercato perché in buone condizioni, quindi vengono di nuovo impiegati per lo scopo originario. Possono essere altresì “ricostruiti” se necessitano di una piccola attività di manutenzione quale un’attività di ricopertura.
Pneumatici fuori uso
Gli pneumatici fuori uso (PFU) sono un rifiuto a tutti gli effetti, sono quindi destinati ad attività di smaltimento ed eventuale futuro recupero. Gli pneumatici fuori uso sono da classificarsi rifiuti speciali. Gli autoriparatori, che nell’attività artigianale di montaggio e cambio gomme sono considerati produttori dei rifiuti, hanno il compito di smaltirli.
Gli altri attori coinvolti in questo processo sono però gli stessi produttori di pneumatici. Ad essi il sistema attribuisce il fulcro della responsabilità del corretto smaltimento. Devono provvedere alla corretta gestione di un quantitativo di pneumatici fuori uso pari a quello di pneumatici nuovi immessi sul mercato nell’anno precedente. Questo può avvenire in maniera singola o associata.
La procedura
La procedura a livello economico è sostenuta dal contributo pagato dagli utilizzatori finali quando acquistano i nuovi pneumatici, al pari di quanto previsto per le apparecchiature elettriche ed elettroniche. In tutti i momenti della commercializzazione viene indicato nel documento fiscale il contributo pagato che, incassato dal produttore, viene poi utilizzato per garantire il corretto smaltimento dei PFU attraverso la raccolta spesso organizzata tramite consorzi senza nessun costo in capo al gommista.
È importante sottolineare gli oneri di corretta gestione e smaltimento in capo a quest’ultimo soggetto che deve sempre garantire la tracciabilità dei rifiuti. Nello stoccaggio dei PFU il gommista può raggruppare gli pneumatici in un deposito temporaneo, regime semplificatorio rispetto ai depositi di rifiuti tradizionali, conservando i rifiuti per un tempo limitato a 90 giorni, procedere al loro smaltimento dunque a cadenza trimestrale. In alternativa al criterio temporale si può decidere di procedere con il criterio quantitativo, procedendo allo smaltimento quanto il quantitativo di rifiuti supera i 30 metri cubi, con almeno uno smaltimento all’anno. È infine necessaria la corretta compilazione dei formulari, del registro di carico-scarico dei rifiuti e la denuncia MUD, quando il numero dei dipendenti dell’impresa supera le 10 unità.
All’interno degli sviluppi dell’end of waste in seno a un’economia sempre più circolare è importante citare che il DM Ambiente 78/2020 è intervenuto sulla sorte dei PFU una volta ritirati dagli operatori specializzati per essere avviati ad azioni di riciclo meccanico e recupero energetico (utilizzo degli pneumatici come combustibile alternativo).
Il decreto detta i requisiti tecnici affinché dopo un adeguata lavorazione la gomma cessi di essere qualificata come rifiuto per essere invece qualificata come sottoprodotto utilizzabile esclusivamente per determinati scopi specifici (produzione di articoli in gomma, strati inferiori di superfici, materiali compositi bituminosi, ecc..).
Nei giorni scorsi abbiamo lanciato un sondaggio per capire le criticità nella raccolta e gestione dei pneumatici fuori uso.
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