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Contratti a tempo determinato: le novità del “Decreto Lavoro”

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5 Luglio 2023 Stampa

Il Decreto Lavoro (DL n.48/2023) ha introdotto diverse misure che hanno destato un forte interesse tra le imprese (qui i nostri approfondimenti dedicati ndr.). Tra queste, una delle più significative riguarda la riforma dei contratti di lavoro a tempo determinato e, più in dettaglio, la revisione delle causali che consentono una durata superiore a 12 mesi.

La legge di conversione del Decreto Lavoro ha apportato importanti novità riguardo alle condizioni che determinano l’obbligo di indicare le cosiddette causali per il rinnovo, equiparandole alla disciplina delle proroghe. È importante sottolineare che il rinnovo si differenzia dalla proroga per la sua struttura: il rinnovo avviene dopo la scadenza del contratto precedente, mentre la proroga interviene prima che il contratto precedente scada. Prima della recente modifica normativa, queste due situazioni erano soggette a condizioni diverse (per il rinnovo era sempre necessaria una causale, mentre per la proroga era richiesto solo il superamento dei 12 mesi ndr.).

Le novità del Decreto Lavoro sulle causali

Nonostante sia ancora possibile stipulare contratti a termine senza causale per una durata massima di 12 mesi e il limite di proroghe e rinnovi rimanga invariato (non possono superare i 24 mesi), il decreto ha superato le causali del decreto Dignità, ad eccezione della “sostituzione” che rimane una causale confermata. Sono state introdotte nuove causali, potenzialmente utilizzabili, le cui implicazioni, in particolare nella relazione tra la causale collettiva e i patti individuali, richiederanno un approfondimento ulteriore.

Dalla lettura della legge di conversione emerge che, a partire dal 30 aprile 2024, rimarranno due causali: quelle stabilite dai contratti collettivi e la causale di sostituzione. Fino a quella data, in assenza di causali stabilite dai contratti collettivi, sarà possibile utilizzare anche la causale per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti. Le causali individuate dalle parti potranno essere valide nel contratto individuale di lavoro solo se non vi è una regolamentazione delle causali da parte dei contratti collettivi applicati in azienda e avranno una validità temporale limitata a un anno.

Il nuovo decreto conferma alcune delle causali già previste dalla normativa attuale (articolo 19 del D.lgs 81/2015), come la causale di sostituzione di altri lavoratori e quelle connesse alle esigenze previste dai contratti collettivi di qualsiasi livello, stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale e dalle loro RSA (Rappresentanze Sindacali Aziendali) o RSU (Rappresentanza sindacale Unitaria).

La nuova causale, che legittima l’apposizione di una clausola di durata oltre i 12 mesi o comunque oltre le proroghe previste, è simile alle vecchie causali previste dal D.lgs 368/2001. Infatti, in base al decreto legislativo richiamato, il contratto a termine era consentito “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, ovvero causali del tutto analoghe a quelle previste nell’attuale decreto Lavoro, che consente il lavoro a tempo determinato per “specifiche esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti”.

Come utilizzare la causali

La causale deve essere formulata in modo tale da descrivere in modo dettagliato le ragioni di natura organizzativa, produttiva o tecnica, evidenziando tutte le informazioni rilevanti per comprovare la temporanea e concreta esigenza lavorativa e la sua connessione con il rapporto di lavoro a tempo determinato.

Per rinnovare o prorogare un contratto a termine oltre i 12 mesi, è necessario che il contratto includa una descrizione precisa delle esigenze che giustificano la necessità aziendale, basate su circostanze effettive e provabili in sede di giudizio. Non sono ammesse motivazioni generiche o clausole che non riguardano direttamente la realtà aziendale. È invece richiesto che la causale esprima con precisione il bisogno produttivo, tecnico o organizzativo collegato al rinnovo/proroga.

L’indicazione di una causale generica, che si limita a ripetere le esigenze organizzative, produttive o tecniche del datore di lavoro, non sarà idonea a giustificare l’apposizione del termine finale al contratto, con il rischio per l’azienda di veder trasformato il contratto a termine in un contratto a tempo indeterminato.

Esempi dell’applicazione della riforma dei contratti a tempo determinato

Se si è assunti con un contratto a tempo determinato di nove mesi che sta per scadere, si può ricevere una proposta di proroga da parte del datore di lavoro. Tuttavia, si può preferire il rinnovo. Qual è la differenza tra proroga e rinnovo? Come abbiamo visto sopra, la proroga avviene prima della scadenza del contratto precedente e modifica la data di scadenza, senza interruzioni. Ad esempio, se un contratto scade il 30 giugno, le parti possono decidere di spostare la data al 30 settembre il 29 giugno.

Il rinnovo, invece, avviene dopo la scadenza del contratto precedente. Ad esempio, se il contratto scade il 30 giugno, le parti possono firmarne uno nuovo il 25 luglio. Prima della conversione del decreto Lavoro, esistevano differenze nella disciplina tra proroga e rinnovo, ma la legge ha introdotto una regola comune: per entrambi non è richiesta una causale fino al raggiungimento di un anno di lavoro.

Se il contratto a termine di un dipendente, che è già stato titolare di altri contratti, sta per scadere dopo sei mesi, come si calcola se si è sotto la soglia dei 12 mesi? Ai fini dell’applicazione dei limiti di durata previsti dalla legge, si calcolano tutti i periodi di lavoro tra le parti. Tuttavia, la legge di conversione del decreto Lavoro offre una flessibilità importante per i datori di lavoro: per raggiungere la soglia dei 12 mesi che richiede la causale per la proroga e il rinnovo, si calcolano solo i periodi di lavoro a partire dalla data di entrata in vigore del decreto Lavoro, cioè dal 5 maggio.

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