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Orlandini (UNIMORE): “Abbiamo gli strumenti per controllare fenomeni alluvionali”

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3 Agosto 2023 Stampa

È uno dei massimi esperti per quanto riguarda il rischio idrogeologico nel territorio di Modena e Reggio Emilia. Abbiamo intervistato il professor Stefano Orlandini, docente di  Ingegneria Civile e Ambientale presso il Dipartimento di Ingegneria Enzo Ferrari di UNIMORE per fare un focus sull’esposizione della nostra area agli eventi alluvionali e franosi

Professore, le chiedo in primo luogo di farci il quadro della situazione per quanto riguarda il dissesto idrogeologico nella nostra area

«Sta aumentando la consapevolezza che il nostro territorio è sotto protetto rispetto agli eventi alluvionali e alle frane. Questo può essere dovuto a due ragioni: la prima è che si verificano precipitazioni di rara portata, l’altra è che il territorio non è preparato ad accogliere questi eventi. Nel nostro caso, a mio parere, per quanto accaduto in Romagna, ma che abbiamo vissuto pure noi nel recente passato, incide molto anche questo secondo fattore: il nostro territorio non è adeguatamente preparato ad accogliere gli eventi rari. E per rari intendo anche quei fenomeni che si verificano molto raramente, cioè una volta ogni 100 anni o ogni 200 anni. Si tratta però di eventi che si possono verificare e un territorio protetto dovrebbe saper gestire pure questa casistica».

Cosa si può fare professore per controllare questi eventi?

«Precisiamo che non è possibile ridurre il rischio a zero, ma è possibile ridurre il rischio a un valore ottimale, che è quello che minimizza i costi totali per la società. Eventi “rari” non significa eventi ingestibili, anzi. Siccome però sono eventi che si verificano sporadicamente tendono a essere dimenticati. E poi, purtroppo, accade quanto constatiamo. Abbiamo gli strumenti statistici per valutarli e abbiamo gli strumenti tecnici per valutare quali interventi effettuare per avere un territorio in sicurezza idraulica. Il provvedimento più importante, secondo me, è quello di garantire che i corsi d’acqua abbiano e mantengano la capacità di smaltimento delle portate di piena con periodo di ritorno di 200 anni. Questo definisce il livello di rischio accettabile, cioè quello che minimizza i costi per la società. I corsi d’acqua devono essere in grado di smaltire le portate di piena di eventi meteorici che si verificano mediamente una volta ogni 200 anni. Questo aiuta ad avere un livello di sicurezza tale da garantire una buona incolumità dei cittadini e un costo, sempre per i cittadini, al minimo».

Cosa intende per costo minimo?

«Intendo la somma dei costi delle opere di prevenzione e dei danni. In alcuni casi c’è un problema di sezioni idrauliche che devono essere allargate e ripristinate e poi c’è anche un problema di manutenzione, nel senso che una volta raggiunto questo livello di efficienza dei nostri corsi d’acqua, dobbiamo mantenerlo nel tempo. A tutto ciò, aggiungerei che un altro provvedimento da adottare sarebbe quello di costruire i serbatoi, le casse d’espansione. Sul nostro territorio, sia a Reggio Emilia che a Modena siamo stati i primi a costruirle e aiutano a ridurre le piene fluviali. Meglio ancora se si costruissimo serbatoi montani, che servono sia per il controllo delle piene ma anche come riserva per far fronte alle esigenze idriche. E come abbiamo notato, la siccità è un problema serio con cui ci siamo già trovati a fare i conti».

Lei è tra i fondatori dell’algoritmo “Landmark”, può spiegarci come funziona?

«Io e Giovanni Moretti abbiamo sviluppato questo algoritmo molto particolare. Serve per descrivere la propagazione delle acque superficiali in caso di rottura di un argine o di una diga. Questi eventi non dovrebbero accadere quando un territorio è ben protetto. Quando capita i motivi sono due: o perché arriva un evento con una grandezza superiore a quella di progetto, o perché succede qualcosa di inatteso. Grazie a “Landmark”, prevediamo l’onda di piena attesa che si sviluppa sul territorio e quindi riusciamo a definire quali siano le misure di emergenza, cioè le azioni che dobbiamo mettere in pratica per smaltire le acque che invadono il territorio. A monte, un algoritmo del genere serve per dirigere le operazioni di soccorso della Protezione Civile, dei Vigili del Fuoco, dei Carabinieri e di tutti gli attori che scendono in campo in caso di emergenza. Lo stesso algoritmo è utile pure in fase di pianificazione: avendo questa modellazione noi riusciamo a vedere come si comporta il territorio nel caso di rottura di un argine in un determinato punto piuttosto che in un altro. Quando si progetta una strada, una ferrovia o qualunque altro intervento artificiale, ciò impatta sul territorio e sulle onde di propagazione di piena: grazie a questo algoritmo noi riusciamo a prevedere con precisione, con efficienza e soprattutto con anticipo. Non è chiaramente l’unico aspetto da considerare, ma è un contributo importante».

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